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La notte, il corridoio e il vichingo

La faccenda era seria. Doveva alzarsi, raggiungere la porta della camera, fare pochi passi nel corridoio e arrivare al bagno. Lì sarebbe stato salvo. Salvo fino al momento di tornare indietro. Perché ovviamente non poteva dormire in bagno dopo aver fatto quello che doveva fare. E l’urgenza era tanta. Nessun bisogno di accendere la luce. Dalla vetrata smerigliata della porta d’ingresso entrava la luce della Luna. Bastava per muoversi. Ma i problemi c’erano. Sotto il letto, qualcosa. Qualcosa di oscuro. Non aveva mai capito cosa fosse, ma se faceva un passo veloce verso la porta, non lo vedeva. E se non lo vedeva, quello non lo prendeva. Era sempre riuscito a scamparla. Ce l’avrebbe fatta anche stavolta. Poi c’era il corridoio. Il vichingo. O qualsiasi cosa fosse quel tipo corpulento che appariva appena si metteva piede fuori dalla stanza. Partiva dalla porta d’ingresso e correva lungo tutto il corridoio. Muscoloso, forse con un’ascia — anche se su questo non era sicuro. Non aveva mai gu...

Si ascoltavano senza parlare

Era stata una bella serata tra amici, una di quelle in cui si sta seduti sul muretto del parcheggio a parlare, scherzare e fare battute. Il bar era a pochi passi: c'era chi aveva preso una birra e chi un gelato. Era appena iniziata l’estate e l’aria era piacevole, senza una nuvola: chi alzava gli occhi al cielo vedeva un firmamento da cartolina. La serata stava volgendo al termine. Qualcuno aveva già salutato, mentre chi era rimasto si godeva la quiete. Gaia era seduta con i piedi appoggiati sul muretto, le ginocchia strette tra le braccia e il mento poggiato sui polsi. Indossava un paio di Converse classiche, jeans attillati e una maglietta beige. Lo sguardo era perso nel vuoto, gli occhi quasi chiusi — cominciava a sentirsi stanca. Alle sue spalle, Alessio. Anche lui seduto, ma rivolto nel verso opposto: dava le spalle a Gaia e fissava il cielo davanti a sé. Indossava una maglietta nera dei Nirvana, con la copertina di Nevermind , comodi pantaloni con tasconi laterali e un paio d...

No, guardi, le spiego

Luca seguiva, a testa bassa, la lista della spesa che aveva stilato con meticolosità. Mancava sempre qualcosa in quella lista, ma quando usciva di casa tenendo in mano il blocco e la penna ne andava quasi orgoglioso. Il carrello aveva sempre le buste ben aperte, dove infilava direttamente le cose dopo averle battute con il lettore portatile, perché la spesa era solo all'Esselunga. Reparto spezie: servivano erba cipollina e prezzemolo. Andavano benissimo quelli essiccati in barattolo. Perché scegliere Cannamela o un’altra marca? Non era roba sua, ma gli spiaceva spendere del tempo a guardare i prodotti per far finta di scegliere consapevolmente. Batte il primo. Batte il secondo. Allunga la mano per riporre nelle borse... le borse, dove sono le borse? Davanti a sé aveva un carrello che non riconosceva; a fianco al suo carrello c'era un altro carrello che era stato abbandonato. Quanto odiava la gente che abbandona i carrelli. Lui non riusciva proprio ad allontanarsi a più di un me...

Incipit #2

Il 238 telonato passò rapido per la via principale che spaccava in due il sobborgo. La strada, piena di buchi e lavori lasciati a metà, fece sobbalzare il camion. Dal retro, qualcosa si staccò dal carico. Il tonfo sordo si perse nel rumore metallico del rimorchio, che sferragliava come se ogni giuntura fosse sul punto di cedere. Gianni, fermo sul ciglio, venne investito dalla polvere. Maledisse tra i denti e alzò il braccio per coprirsi il volto. Strizzando gli occhi, riuscì a vedere l’oggetto caduto. Quando il polverone si diradò, il camion era già sparito, inghiottito dalla curva che portava verso la zona industriale. In mezzo alla strada, c’era un libro. Gianni guardò intorno. Nessuno. Attraversò la strada senza fretta, ma con l’attenzione di chi sa che ogni angolo può nascondere un paio d’occhi. Si chinò e raccolse il libro. Non sembrava fare nulla di male, eppure lo fece con cautela. Poi riprese a camminare, passo sicuro. Sembrava soddisfatto. Fece pochi metri lungo il marciapiede...

Malocchio

Quel quartiere, un tempo cuore industriale con le sue fabbriche, era stato quasi del tutto trasformato in un'area residenziale. Eppure, gli edifici delle vecchie manifatture, ora riconvertiti in uffici e studi di vario tipo, conservavano ancora i loro muri di mattoni rossi, come cicatrici di un passato che si rifiutava di svanire. Nei vicoli che li costeggiavano, l’aria sembrava sospesa tra due epoche, e camminarci dentro dava l’impressione di attraversare un frammento di tempo dimenticato. Era notte fonda quando Alessio e Raul percorrevano uno di quei vicoli, rientrando a casa dopo una serata trascorsa in un pub del quartiere. L’atmosfera del locale era rimasta attaccata ai loro vestiti: il fumo stantio, l’eco distante di un contrabbasso, la voce graffiata di una cantante che accarezzava brani di jazz elettronico. Fuori, la città sembrava trattenere il fiato. I lampioni, pochi e distanti, proiettavano ombre lunghe e deformi sull'asfalto, ancora umido per la pioggia del giorno....

L’aria era frizzante

Edo si era seduto su una panchina al centro del parco delle Esplanadi, là dove sorgeva la statua di Johan Ludvig Runeberg, di cui non sapeva nulla e su cui non aveva alcuna intenzione di informarsi. Quel parco era il cuore della città, un lungo viale alberato che si apriva come un respiro tra i palazzi del centro. File di alberi ancora spogli segnavano il percorso, mentre le aiuole, nonostante l’inverno appena passato, iniziavano a punteggiarsi di verde. Le panchine di legno scuro, alcune occupate da turisti e passanti, altre lasciate vuote, sembravano attendere nuove storie da ascoltare. Era una di quelle giornate in cui il cielo si stendeva sopra la città di un azzurro limpido, senza nuvole. Il sole, ancora tiepido, accarezzava le strade, regalando un anticipo di primavera. Edo era seduto lì, con la mente leggera, lasciandosi avvolgere dalla vita della città che scorreva intorno a lui, senza fretta. Vicino all’aiuola ai piedi della statua, un musicista suonava Sultans of Swing con u...

La processione

Quella era la sera della processione. Era buio. Era tardi. Il corteo scorreva già lungo le strade che dalla chiesa portavano al cimitero. Le pie donne si erano accodate, il resto del paese dormiva. Lei, in ritardo, indossò il suo scialle nero, prese un cero, lo accese e uscì in fretta di casa per raggiungere il portone ad arco all’ingresso della corte. Varcò la porticina incassata in uno dei due battenti e si mise ad aspettare. Il corteo sarebbe passato di lì e a breve anche lei si sarebbe unita. La strada di terra battuta era vuota. Solo il frinire dei grilli rompeva il silenzio della notte. In lontananza apparve un bagliore surreale, simile a un banco di nebbia che spezzava il buio. L’intensità aumentò, poi si divise in tante distinte luci. Erano i lumi dei ceri, che proiettavano ombre scure sui volti dalle mascelle appuntite di donne vestite di nero, il capo coperto da scialli. Il frinire dei grilli sembrò svanire. Una litania prese il sopravvento nel silenzio della notte. Il sac...