La processione
Quella era la sera della processione. Era buio. Era tardi. Il corteo scorreva già lungo le strade che dalla chiesa portavano al cimitero. Le pie donne si erano accodate, il resto del paese dormiva.
Lei, in ritardo, indossò il suo scialle nero, prese un cero, lo accese e uscì in fretta di casa per raggiungere il portone ad arco all’ingresso della corte. Varcò la porticina incassata in uno dei due battenti e si mise ad aspettare. Il corteo sarebbe passato di lì e a breve anche lei si sarebbe unita. La strada di terra battuta era vuota. Solo il frinire dei grilli rompeva il silenzio della notte.
In lontananza apparve un bagliore surreale, simile a un banco di nebbia che spezzava il buio. L’intensità aumentò, poi si divise in tante distinte luci. Erano i lumi dei ceri, che proiettavano ombre scure sui volti dalle mascelle appuntite di donne vestite di nero, il capo coperto da scialli. Il frinire dei grilli sembrò svanire. Una litania prese il sopravvento nel silenzio della notte.
Il sacerdote, con lo sguardo basso, camminava davanti a tutti recitando le lodi, facendo scorrere nella mano destra i grani di una corona. Dietro di lui, a pochi passi, due ragazzini in tunica bianca procedevano goffi e svogliati. Il primo reggeva un cero ornato da eleganti decorazioni, le cui dimensioni lo costringevano a stringerlo con entrambe le mani. Il secondo portava un’asta di metallo con in cima un crocifisso. Seguivano le donne vestite di nero, il capo velato. Nessuna individualità: chi basse, chi ricurve, tutte rispondevano all’unisono. La cantilena di quella litania riempiva il silenzio.
Lei mosse un passo avanti, ma una folata improvvisa fece tremare la fiamma del suo cero. Lo stoppino si spense, e il fumo si disperse rapido verso l’alto. Smarrì lo sguardo alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla a riaccenderlo, ma più veloce dello sguardo il suo piede si era già mosso e la sua mano aveva fermato una donna del corteo.
"Il cero, mi si è spento..." – disse.
La donna si voltò e, senza parlare, le tese il suo cero acceso. Lei lo afferrò, pronta a usarlo per ridare vita alla sua fiammella. Ma prima ancora che potesse avvicinare la fiamma allo stoppino, la sconosciuta riprese a camminare. Il flusso della processione sembrava trascinarla via senza possibilità di fermarsi.
"Ma il cero..." – Non aveva senso continuare. La donna era già scomparsa nel corteo.
Rimase ferma, la mano ancora tesa con il cero acceso, il piede inutilmente avanzato in un movimento sospeso. Quella donna sconosciuta era svanita nel fiume nero della processione. Lei abbassò lo sguardo e si unì alle altre. Nessuna individualità: chi basse, chi ricurve, tutte rispondevano all’unisono. La cantilena di quella litania continuava a riempire il silenzio.
La processione sembrava scivolare lungo le strade, la litania ne segnava il passaggio. Poi il corteo entrò nel camposanto, percorrendo il viale di ghiaia che conduceva alla cappella al centro del luogo sacro. Lumi accesi, sparsi in ordine irregolare sulle lapidi, circondavano il cammino. La litania cessò. Il parroco diede la benedizione e le donne, a gruppi, si affrettarono verso casa. Gruppi sempre più piccoli, porte che si aprivano rapide e si richiudevano sorde. I ceri, a uno a uno, nascosti nei muri delle case, restituivano il buio della notte alle stelle. Il frinire dei grilli tornava a spezzare il silenzio.
Lei raggiunse la sua porta, entrò in fretta, poggiò il cero sul tavolo e si tolse lo scialle. La stanza era buia. Solo la fiammella del cero gettava un lieve bagliore tremolante. Trascinò a sé una sedia e si sedette, sospirando. Un sospiro che segnava la fine di quella giornata intensa.
Nella penombra della stanza fissò la luce del cero.
La luce del cero tremolava, sbiadendo davanti ai suoi occhi. Eppure, più la fissava, più perdeva forma. Quando si rese conto di ciò che aveva davanti, il respiro le si spezzò in gola: sul tavolo, un braccio mozzato. Dalla mano chiusa a pugno sembrava levarsi una flebile fiamma.
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