La notte, il corridoio e il vichingo
La faccenda era seria. Doveva alzarsi, raggiungere la porta della camera, fare pochi passi nel corridoio e arrivare al bagno. Lì sarebbe stato salvo. Salvo fino al momento di tornare indietro. Perché ovviamente non poteva dormire in bagno dopo aver fatto quello che doveva fare. E l’urgenza era tanta.
Nessun bisogno di accendere la luce. Dalla vetrata smerigliata della porta d’ingresso entrava la luce della Luna. Bastava per muoversi.
Ma i problemi c’erano. Sotto il letto, qualcosa. Qualcosa di oscuro. Non aveva mai capito cosa fosse, ma se faceva un passo veloce verso la porta, non lo vedeva. E se non lo vedeva, quello non lo prendeva. Era sempre riuscito a scamparla. Ce l’avrebbe fatta anche stavolta.
Poi c’era il corridoio. Il vichingo. O qualsiasi cosa fosse quel tipo corpulento che appariva appena si metteva piede fuori dalla stanza. Partiva dalla porta d’ingresso e correva lungo tutto il corridoio. Muscoloso, forse con un’ascia — anche se su questo non era sicuro. Non aveva mai guardato bene. Sembrava evanescente. Tutto blu. Passava attraverso i muri. La porta d’ingresso non l’apriva mai.
In testa aveva un elmo. Su quello era abbastanza sicuro. Un elmo alato. Come quello del pacchetto di sigarette del padre, le Gauloises. Ai piedi, stivali di pelle. Ricordava i lacci, quelli che stringevano i polpacci.
«Dai, via, si parte», si disse. Coraggio.
Balzo rapido. Ma la porta della camera era chiusa. Maledizione. Avrebbe perso tempo… Ma dal letto non era uscito nessuno. Il cuore batteva forte. Il primo pezzo era andato.
Aprì la porta. Eccolo. Il guerriero. Passava attraverso la porta d’ingresso e correva. Occhi bassi, balzo veloce verso il bagno. Chiuse la porta dietro di sé. Era salvo. Ebbe l’impressione di sentire il vento del guerriero che correva. Ma non ebbe il coraggio di guardare.
Accese la luce. Lì era tranquillo. Poteva fare con calma. Si avvicinò al gabinetto, alzò la tavoletta. Ascoltò la pipì cadere come una fontanella. Tirò lo sciacquone.
Ora doveva rientrare.
Quando sarebbe stato grande, avrebbe usato quel coso del nonno. Quello che teneva vicino al letto per non doversi alzare al ricovero.
Ultimo sforzo.
Aprì la porta. Eccolo, di nuovo. Il guerriero. Sempre dalla stessa direzione. Ma che giro faceva? Chiuse gli occhi e corse. La porta della camera era aperta. La richiuse in fretta, senza guardare. Quella era una porta magica. Il guerriero non poteva oltrepassarla. Non sapeva perché, ma ne era certo.
Non era ancora finita. Doveva fare due balzi e tuffarsi nel letto. Le coperte erano già spostate. Era facile.
Uno… due… sul letto. Infilò le gambe, tirò su le coperte. Rifugio ritrovato. Ce l’aveva fatta.
Ma la curiosità era tanta.
Abbassò un po’ la coperta. Guardò nel buio.
Pochi secondi. In fondo al letto, una figura bianca. Fluttuava.
E adesso chi era questo?!
Testa sotto le coperte. Lì era al sicuro. Poteva tornare a dormire.
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