Malocchio

Quel quartiere, un tempo cuore industriale con le sue fabbriche, era stato quasi del tutto trasformato in un'area residenziale. Eppure, gli edifici delle vecchie manifatture, ora riconvertiti in uffici e studi di vario tipo, conservavano ancora i loro muri di mattoni rossi, come cicatrici di un passato che si rifiutava di svanire. Nei vicoli che li costeggiavano, l’aria sembrava sospesa tra due epoche, e camminarci dentro dava l’impressione di attraversare un frammento di tempo dimenticato.

Era notte fonda quando Alessio e Raul percorrevano uno di quei vicoli, rientrando a casa dopo una serata trascorsa in un pub del quartiere. L’atmosfera del locale era rimasta attaccata ai loro vestiti: il fumo stantio, l’eco distante di un contrabbasso, la voce graffiata di una cantante che accarezzava brani di jazz elettronico. Fuori, la città sembrava trattenere il fiato. I lampioni, pochi e distanti, proiettavano ombre lunghe e deformi sull'asfalto, ancora umido per la pioggia del giorno. Ogni passo risuonava sordo, inghiottito dalla notte.

Dall'ombra di un angolo emerse una figura trasandata. Barba sfatta e unta, capelli appiccicati alla fronte. Camminava con un'andatura incerta, ma nella mano stringeva un coltello. Non dava l'impressione di saperlo maneggiare.

"Fuori quello che avete!" disse con voce tremolante. Gli occhi si spostarono ripetutamente da Alessio a Raul, indecisi, ma fissi.

Quegli occhi dicevano qualcosa ad Alessio. Rimase fermo a guardarlo.

"Che vuoi?" ringhiò l’uomo trasandato.

Raul fece un passo avanti, ma l’uomo si ritrasse di scatto, forse per paura, forse per istinto. Il braccio si alzò in una traiettoria ampia e scomposta, e la lama seguì quel movimento con un lampo freddo.

Un colpo involontario, forse. Ma il taglio fu netto. Troppo netto. La gola di Raul si aprì con una sottile linea scura, e per un istante parve non accadere nulla. Poi, il sangue iniziò a sgorgare.

Raul si accasciò a terra, il respiro già strozzato in un gorgoglio umido. Il sangue colava rapido, scuro sull'asfalto, allargandosi in una pozza che sembrava quasi pulsare.

L’uomo rimase immobile, lo sguardo fisso su Alessio. Per un istante, sembrava incerto, come se solo in quel momento realizzasse cosa fosse appena accaduto. La lama tremava ancora nella sua mano.

Alessio sentì il battito martellargli nelle tempie. Il vicolo attorno a loro era diventato troppo silenzioso. Solo il suono lieve del sangue che stillava sulla strada riempiva l’aria.

Poi, l’uomo fece un passo indietro.

Alessio lo riconobbe. Il respiro gli si bloccò in gola. Era lui.

Per un attimo, il tempo si spezzò. Il presente sbiadì ai margini della sua mente e i ricordi riaffiorarono come lampi improvvisi, frammenti di una storia che credeva dimenticata.

Un giorno, anni prima.

Alessio era seduto su un muretto, immerso nella lettura di un libro sgualcito, un’edizione tascabile dalla copertina consunta.

"Ohi," lo salutò Raul, fermandosi a pochi passi da lui.

Alessio non rispose subito. Senza distogliere lo sguardo dalle pagine, chiese: "Chi è Rafocal?"

Raul alzò un sopracciglio. "Wow, stai leggendo?" domandò ironico, rollandosi una sigaretta.

"Chi è Rafocal?" ripeté Alessio, stavolta guardandolo dritto negli occhi.

Raul soffiò via il fumo immaginario della sigaretta ancora spenta. "Che cazzo leggi?"

"Un libro assurdo: Erba, magia e stregoni di tale Mességué. Parla di pozioni e antichi rimedi… sembra quasi un manuale per stregoni. L'ho trovato in biblioteca…"

"In biblioteca?" ripeté Raul con tono stupito.

Alessio sfogliò velocemente le pagine fino a fermarsi su un punto preciso. "Leggi questa. Serve per fare il malocchio."

Raul sbuffò, leccò la cartina e la sigillò con un gesto lento. "E a chi vorresti farlo?"

Alessio si strinse nelle spalle. "Boh, possiamo provare con uno a caso…"

Doveva essere solo un gioco.

Quel giorno fecero un giro in centro. Passeggiavano senza meta, finché Alessio non adocchiò un uomo che usciva da un edificio di vetro. Vestito di tutto punto, con una valigetta porta documenti stretta tra le mani, sembrava l’opposto di loro.

"Lui," disse Alessio con un sorriso eccitato.

Raul scoppiò a ridere. "Ma sei scemo? Cosa vuoi fare, maledirgli il conto in banca?"

Alessio non si lasciò scoraggiare. Era così preso dalla cosa che, per convincere Raul, fece un’offerta che sapeva avrebbe funzionato: "Se non funziona, ti cedo il mio bootleg dei Led Zeppelin. Se funziona, tu mi dai la tua collana."

Raul alzò lo sguardo su di lui, cercando di capire se stesse scherzando. Parlava della collana con il dente di squalo, quella che lui aveva preso per primo alla bancarella, mentre Alessio era un passo indietro. Da allora, non l’aveva mai tolta, la riteneva un portafortuna. Ma il bootleg dei Led Zeppelin era un pezzo da collezione ed era folle solo proporlo.

"Dici sul serio?"

Alessio si limitò a sorridere.

La stessa sera, Alessio e Raul erano davanti a una pianta di limoni, proprio come diceva il libro. Avevano passato tutto il pomeriggio a cercarla e finalmente l’avevano trovata in un campo alla periferia della città, accanto a un cascinale abbandonato.

Nello zaino, Alessio aveva portato un bicchiere di plastica e una bottiglia di rum che aveva "preso in prestito" dal cingalino del quartiere. "Ho tutto quello che c'è scritto nel libro..." annunciò con aria solenne.

Raul lo guardò e scoppiò a ridere.

Alessio colse un limone, versò un po’ di rum nel bicchiere, lo tagliò a metà e ne spremette il succo dentro seguendo quanto descritto dalla formula. Poi si schiarì la voce, cercando di non ridere, e lesse dal libro: "O grande Rafocal, fate che il tale diventi un ladro, un vagabondo, un assassino e faccia tutto quello che non dovrebbe fare." 

Rimase in silenzio per qualche secondo, come se si aspettasse un qualche effetto scenico. Nulla. 

"Ora?" chiese Raul. 

"Boh," rispose Alessio, visibilmente deluso. 

"E che ne facciamo del rum?" 

Alessio lo bevve tutto d'un fiato e gettò il bicchiere. "Il libro non diceva altro..."

La mattina dopo, Raul e Alessio si erano già praticamente dimenticati di tutto. Forse l’unica traccia rimasta era la bottiglia di rum vuota, abbandonata vicino a un cassonetto, testimone silenziosa della notte precedente.

E si erano anche dimenticati di quell'uomo vestito di tutto punto, con una valigetta porta documenti stretta tra le mani... quello stesso uomo che ora teneva tra le mani un coltello insanguinato. Senza dire una parola, l'uomo si abbassò sul corpo di Raul, afferrò il fermasoldi scivolato fuori dalla tasca, poi corse via.

Alessio rimase paralizzato, come se il suo corpo non riuscisse a reagire. Poi, finalmente, si risvegliò dal torpore. Vedeva l’uomo dileguarsi lungo la via, la sua figura che scompariva nell'oscurità. Guardò il corpo di Raul, l'orribile pozza di sangue che si stava formando attorno a lui. Si chinò su di lui, come se fosse un gesto automatico, quasi freddo.

"Mi sembra che tutto sommato quell'uomo sia diventato un vagabondo, un assassino e un ladro..." La sua voce suonava distante, quasi senza emozione. "Questo dente che hai al collo non ti ha portato molta fortuna, ma ora a te serve a poco."

Con un gesto rapido e deciso, Alessio strappò la collana dal collo di Raul, sentendo il metallo freddo tra le dita, e la mise in tasca. Non provò alcun rimorso, come se fosse solo un altro oggetto da recuperare, un ricordo da tenere nascosto.

La via era vuota. Non c’era più traccia dell'uomo. La città sembrava aver inghiottito tutto, lasciando solo il suono dei suoi passi solitari. Alessio si alzò e continuò a camminare, come se nulla fosse accaduto, lasciando il corpo di Raul steso sotto la fioca luce di un lampione, ormai una figura oscura e insignificante nella notte.


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